LETTERA
A VANITY FAIR – pubblicata sul n. 51
Accarezzo
mio figlio che mi chiede ridendo “guardiamo i numeri!!!” e mi sento sciogliere
dalla tenerezza.
Gli
metto il conta minuti e cominciamo a contare al contrario.
I
numeri sono appunto i minuti residui che appaiono sul display della sua macchina
per dialisi peritoneale.
E’
mattina, lui è già sveglio ma resta nel suo lettino perché aspetta che io lo stacchi
dalle sue dieci ore di dialisi, per cominciare la sua giornata normale.
Mio
figlio ha 4 anni, è nato prematuro con una malformazione alla valvola uretrale
posteriore, ha subito 6 interventi, il primo a 2 gg di vita, e soffre di insufficienza
renale acuta, patologia per cui non esiste cura e le cui conseguenze
possono essere nefaste: su 100 colpiti, la metà non sopravvive, 40
guariscono e 10 finiscono in dialisi e in lista per un trapianto.
Mio
figlio da 2 anni e mezzo è in
trattamento di dialisi peritoneale.
Mio
figlio aspetta un rene, ma il suo medico ci ha appena comunicato che in questi
due anni sono diminuite drasticamente le donazioni di organi.
Aldilà
del dolore profondo, dai problemi che esistono per la donazione tra viventi
(a cui sia mio marito che io saremmo disposti sin da subito, ma non è così
semplice), penso a quanta poca informazione e scarsa sensibilizzazione c’è intorno
alla donazione di organi. Mi viene un pensiero agghiacciante che subito
rifiuto:
quanti interessi economici ci sono intorno a un paziente dializzato in attesa
di trapianto? Per inciso, sono circa 9 mila i
pazienti italiani in lista per un rene
nuovo e 42 mila i dializzati.
Perché
negli ospedali non si creano delle strutture di sostegno ai parenti dei possibili
donatori?
Perché
sono ancora pochi gli ospedali che hanno delle sale operatorie attrezzate
per gli espianti di organi?
Perché
non si incrementa la ricerca sulle cellule staminali?
Nei
topi, per ora, l’esperimento ha avuto successo, usando cellule staminali mesenchimali
prelevate dal midollo osseo. Vi sarebbero guarigioni e nessun bisogno
di dialisi né di trapianto (l’unica terapia al momento praticabile).
Penso
a tutto questo e guardo mio figlio che è tutta la mia vita: vorrei portarlo in
piscina come i suoi amici e non posso farlo perché i rischi sono troppo grandi.
Vorrei
per lui e per altri bambini come lui una vita normale.
So che
succederà, ma vorrei che fosse prima che poi.
STEFANIA
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